Carissimi,
ci stiamo avvicinando al Giubileo del 2025. Papa Francesco ci invita a riscoprire la gioia di essere peregrinantes in spem. Come Vescovi vogliamo condividere con voi alcune riflessioni fatte insieme nelle nostre ultime due riunioni di settembre e ottobre. Siamo partiti da alcune domande: che cosa e come sperano i cristiani di oggi? Si può ancora vivere di speranza? Desideriamo, in primo luogo, essere per voi i primi testimoni della fede in Gesù risorto e vi diciamo che noi speriamo in Lui, sapendo di non restare delusi.
Ci ha aiutato in questi mesi la rilettura della parabola evangelica del Samaritano. Ci siamo messi dalla parte di quell’uomo che, incappato nei briganti, si ritrovò moribondo, buttato come un rifiuto sulla scarpata. Solo e quasi esanime non aveva più via di scampo. L’unica possibilità che gli rimaneva era l’aiuto di qualcuno. Questa è la speranza che non dovremmo mai perdere: in una situazione senza uscita, sperare è attendersi che un aiuto ci verrà da oltre e da altri.
La speranza dell’uomo richiede fiducia nel mondo che ci circonda. In esso esistono bene, generosità, impegno. Qualcuno tra i passanti non mi lascerà morire abbandonato sulla strada. La speranza dell’uomo confida nei suoi simili. Tornando però alla parabola, dobbiamo ricordare che i due primi passanti non si fermarono: forse avevano ritenuto che non c’era più niente da fare per il malcapitato; magari avevano avuto paura di essere a loro volta aggrediti dai malviventi; oppure erano preoccupati di non tornare in tempo a casa o al tempio, dove c’era tanto da fare e occorreva che si presentassero dignitosamente.
Nel mondo, più le persone perdono la voglia di fare il bene, più la speranza degli ultimi diventa fragile. Ci sembra giusto ripetere anche a chi non crede ciò che disse Papa Francesco ai 50.000 giovani radunati per la Domenica delle Palme del 2013: «Non lasciatevi rubare la speranza, per favore, non lasciatevi mai rubare la speranza».
La speranza che nasce dal vangelo si fonda sull’opera di Dio nella vita del mondo e dell’umanità che lo abita. Quando sono a terra, disperato, il Signore sta già muovendo il cuore di un fratello che mi aiuterà a risollevarmi, aprendo di nuovo la strada che era irrimediabilmente chiusa. È quanto ci narra la parabola, in cui, per vie misteriose, Dio provoca un evento di salvezza muovendo a compassione proprio il cuore di un estraneo, uno straniero, anzi un nemico. Vedendo il gesto del buon samaritano, tutti riapriamo il cuore alla speranza in Dio e nell’uomo.
Nella parabola, tuttavia, si dice qualcosa in più. Il Samaritano si è fatto carico della vita di un uomo. Lo assiste per una notte e poi lo affida all’albergatore, che, nell’insieme del racconto, è un’altra figura di speranza. La sua casa è un riparo, un ospedale per chi è in viaggio, per chi ha bisogno di un tetto, per chi non ha casa. I Padri della Chiesa vedono in quell’albergo l’immagine della Chiesa, la comunità che, animata da Cristo, crede, spera ed ama. L’albergatore attende il ritorno del Samaritano, il quale non trascurerà di rifondere quanto sarà stato speso in più per assistere, nel tempo prolungato della cura, colui che era incappato nei briganti. L’albergatore e il Samaritano guardano al bene futuro, non solo all’attimo presente. La beata speranza è quella che desidera raggiungere la dimora dove tutti siamo attesi da Dio. Solo chi contempla il cielo e attende l’ultimo giorno non si stanca nel pellegrinaggio che gli è dato di compiere su questa terra. Il ritorno di Gesù, il buon samaritano, il Signore risorto e vivo, è la promessa che sostiene i nostri passi.
Nella nostra preparazione all’anno santo ormai vicino siamo stati attratti da due altre icone evangeliche: il sepolcro sigillato con una pietra e il Cenacolo a porte chiuse. Il Signore risorto, vivo, ribalta la situazione, riapre la storia, sospinge la missione della chiesa con la forza del suo Spirito.
Spinta dalla nostra povera fede e attirata dall’amore la speranza non svanisce. Più forte della nostra fede è la fiducia di Dio per noi, più grande del nostro amore è la sua passione per questo mondo e per l’umanità che lo abita. Questo chiede la sposa all’amato: “attiraci e noi correremo”. Sulle note di questo verso del Cantico dei Cantici viviamo insieme l’anno santo, pregando gli uni per gli altri e contemplando il fascino della speranza.
I vostri Vescovi